Un pò di storia

Quando e dove qualcuno ebbe per primo l’intuizione di spremere le piccole drupe dell’olivastro, non è dato di sapere con certezza. Ritrovamenti databili al terziario, un milione di anni fa circa, attestano nei pressi di Bologna la presenza di un antenato dell’olivastro perché in insediamenti  umani ne sono state trovate alcune foglie fossili. Sulla riviera francese, nei pressi di Mentone, sono stati trovati noccioli di oliva in insediamenti risalenti al Paleolitico, dunque 35000-8000 anni prima dell’era cristiana. Al Neolitico ( 8000-2700 a.C. ) datano invece i reperti che testimoniano la presenza dell’ulivo nella penisola Iberica, e dello stesso periodo risalgono i ritrovamenti  che attestano la coltivazione dell’ulivo in Puglia. Nel 2500 a.C. il codice Babilonese di Hammurabi regolamentava la produzione ed il commercio dell’olio di oliva nell’area della “ mezzaluna fertile “, quella terra che si estende tra i fiumi Tigri ed Eufrate. Reperti fossili rinvenuti sul lago di Garda, testimoniano che questa pianta era già utilizzata nell’alimentazione umana durante l’età del bronzo (1500-1000 a.C.). Lungo le sponde del Nilo si commerciava l’olio ancora prima della XlX dinastia (1292-1186 a.C.) in quanto prodotto fondamentale per le imbalsamazioni. La storia di questa pianta risale dunque agli albori della civiltà umana.
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L’antenato dell’olivo domestico non è conosciuto; le teorie più accreditate ipotizzano che derivi da un ibrido, formatosi nell’area orientale del bacino del Mediterraneo, di due specie diverse:  una forse identificabile con l’olea africana, avrebbe trasferito il carattere della foglia allungata, l’altra, ignota, avrebbe collaborato con l’oliva polposa e carica d’olio. Da qui la pianta si sarebbe propagata in Egitto e quindi a Creta dove l’olivicoltura divenne l’ossatura dell’economia locale: nel palazzo di Cnosso  sono stati ritrovati enormi depositi contenenti anfore destinate alla conservazione ed al  trasporto del prezioso prodotto; dagli scavi sono emerse tavolette d’argilla che parlano diffusamente di frutteti e uliveti nonché un libro mastro  dell’amministrazione del palazzo che parla di luoghi di produzione e di destinazione nonché dei diversi prezzi del prodotto a seconda della qualità di produzione: da destinarsi all’alimentazione o usato per scopi medici o, ancora, se da utilizzarsi per le offerte.

Dopo la decadenza di Creta sono i Fenici ed i Cartaginesi che portano l’olio o le piante di olivo in tutto il bacino del Mediterraneo. A questo punto l’olio di oliva, grazie alla sua versatilità,  viene usato come detergente, combustibile, lubrificante, cosmetico, cibo e merce di scambio. E chi ringraziare se non gli dei per questo prezioso prodotto? Ecco quindi che quando sorse una disputa tra Nettuno e Atena  su chi dovesse essere il primo a fondare una città nella zona dell’Attica, darle il nome ed esserne il Dio protettore, questi si rivolgono a Giove che si pronuncia a favore di Atena in quanto il dono di quella pianta di olivo era un dono di pace al contrario del cavallo donato da Nettuno giudicato come un dono di guerra. Con i rami di un olivo centenario che gli ateniesi identificavano come quello donato da Atena si intrecciavano ghirlande per gli eroi mentre con l’olio ricavato dagli olivi piantati attorno al Partenone venivano premiati i vincitori delle Olimpiadi.

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Da Atene a Roma, tanto gli Imperatori quanto i generali al momento del trionfo si cingevano il capo con ramoscelli d’olivo.
Sarà però con Roma che la pianta dell’olivo verrà diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo in modo sistematico. Ai soldati romani sparsi in tutto l’impero veniva data una diaria dov’erano presenti il pane, il vino e l’olio; nelle raffinate tavole romane si distinguevano gli oli leggeri della Liguria e delle Marche da quelli più sapidi della Sabina, mentre quelli più pesanti,  proveniente dalla penisola Iberica e dall’Africa erano destinati all’alimentazione delle lampade. Mentre a Roma, una lobby privilegiata i “negotiatores  olearii”, all’interno della borsa finanziaria dell’olio “ l’Arca Olearia”, trattano prezzi, qualità  e quantità, l’olio di oliva  contenuto nelle anfore e  a bordo delle  navi onerarie, costruite appositamente  per stipare il maggior numero di anfore, viene portato in tutto l’impero. Cinque erano le classificazioni dell’olio di oliva a seconda del grado di maturazione e della sanità dell’oliva. Plinio, a proposito “della difficile arte di ricavare l’olio” afferma che  ” da una stessa oliva si ricavano succhi diversi, il primo dei quali, chiamato ex albis ulivis  è fornito dall’oliva verde quando non è ancora cominciato il processo di maturazione, mentre la maturazione completa del frutto dà origine ad un succo più denso e meno gradevole “. Gli altri nell’ordine sono: il viride estratto a dicembre da olive che vanno annerendosi; il maturum ottenuto dalla spremitura di olive mature; il caducum ottenuto da olive cadute a terra ed infine il cibarium prodotto con olive bacate e destinato all’illuminazione ed agli schiavi.

Con le invasioni barbariche e la conseguente disgregazione dell’impero la vita nelle campagne diventa sempre più pericolosa, l’agricoltura regredisce e anche la coltivazione degli ulivi diviene sempre più marginale anche perché con i barbari cambiano le abitudini alimentari e, soprattutto nell’Italia del nord, si ha l’avvento dei grassi animali: lardo e burro la fanno ormai da padroni e gli ulivi vengono rinchiusi nei conventi  e nei feudi fortificati. Per molti secoli l’olio diventa raro e prezioso tanto che in alcuni casi diventa addirittura considerato denaro contante.
Con la rinascita agricola del XIII secolo anche l’olivo finalmente ricomincia a destare l’interesse dei proprietari terrieri che cominciano a vedere nell’olio una fonte di guadagno e così la produzione ricomincia ad aumentare tanto che Genova e Venezia, che fino ad allora importavano l’olio dalle isole del Mediterraneo e dal nord Africa, ora cominciano a  disputarsi il commercio dell’olio nazionale. Il governo Mediceo di Firenze sarà il primo a dare grande impulso all’olivicoltura e poi  sarà in aumento un po’ in tutta Italia.
Nei secoli a venire la coltivazione dell’ulivo sarà un alternarsi di alti e bassi:  in un primo momento i  governanti  favoriscono con finanziamenti  ingenti  la messa a dimora  di nuove piante per fare aumentare  la produzione  per poi, in un secondo momento,  imporre ai contadini una pressione fiscale così forte che questi si vedono costretti ad abbandonare le piante a loro stesse o addirittura a tagliarle.
Arriviamo così all’inizio del secolo scorso quando durante la prima guerra mondiale si scopre che il legno dell’olivo usato come combustibile poteva sostituire egregiamente il carbone venuto a mancare nelle fabbriche del nord  dando così il via al taglio di migliaia di alberi in tutta la penisola  e poi negli anni 60 quando una battente  pubblicità a favore degli oli di semi  fa emarginare sempre più l’olio di oliva.
Un nuovo orizzonte si è aperto negli ultimi anni a favore degli oli extra vergini di oliva per i riconosciuti ed ineguagliabili caratteri organolettici che si portano in dote, per merito della cucina mediterranea di cui l’olio è primattore,  e per il sostegno dell’informazione medico-dietistica che, finalmente, ne testimonia il corretto apporto nutrizionale e le proprietà salutari.